E’ così chiamata perché qui nella prima metà del Settecento abitò il canonico Gian Domenico Bertoli, il quale nel 1749 pubblicò a Venezia un libro ancor oggi fondamentale intitolato Le antichità di Aquileia profane e sacre. A esso tennero dietro due successivi volumi, rimasti manoscritti.
L’edificio è uno dei più antichi di Aquileia e risale almeno al XIII secolo. Nel corso del Trecento fu decorata una stanza, che oggi ospita il Centro di antichità altoadriatiche, secondo il gusto dell’epoca. Sopra un velario che copre tutte le pareti vi sono due stemmi, uno dei quali appartiene ai conti di Gorizia, che furono avvocati della chiesa di Aquileia. Probabilmente da quel tempo o comunque nel XV secolo l’edificio ospitò alcuni canonici di Aquileia. Uno di questi, che divenne anche decano del capitolo – quindi nella scala gerarchica del Patriarcato immediatamente al di sotto del Patriarca di Aquileia – fu quel Doimo di Valvason che nel 1478 fece decorare la facciata secondo il gusto di allora con un sobrio motivo a scacchi bianchi e rossi. Del suo intervento rimane la finestra a crociera in corrispondenza del salone centrale e parte di una decorazione in un’altra stanza. Verso la fine del Cinquecento un’aggiunta fu fatta a cura del vicario patriarcale Francesco di Prampero. Ulteriori interventi edilizi e decorativi si ebbero nella parte meridionale e nel vano scale (prima metà del XVII secolo).
L’edificio fu acquisito dall’Associazione nazionale per Aquileia nel 1935 e da essa donato allo Stato italiano.